Emeutes à Castelvolturno septembre 2008

Tra i fantasmi di Castelvolturno dove i neri chiedono più Stato

21 septembre 2008

dal nostro inviato GIUSEPPE D’AVANZO

REPORTAGE / Viaggio nel paese dopo l’assassinio di sei immigrati africani Gli amici delle vittime: « Dicono che erano delinquenti per insabbiare tutto »

Il luogo della strage

CASTELVOLTURNO – Dell’albergo di un tempo, ai bordi della pineta di Castel Volturno, al chilometro 32 della statale Domitiana, c’è oggi soltanto uno scheletro di cemento, annerito e bruciato come un tizzone nel fuoco. Le finestre, come occhi vuoti, annunciano da lontano un paesaggio spettrale e il mondo livido di morte abitato dai tossici. Se ne vedono entrare e uscire. Sono frenetici, quando riescono a camminare diritti. I più entrano barcollando, escono tonici e « felici ». Rifiuti umani, vite di scarto abbandonate al loro destino come la spazzatura putrefatta che è dovunque, qui intorno. Rimasugli di cibo, cessi sbreccati, tavoli senza gambe, copertoni d’auto bruciati, vetri rotti, la tappezzeria di un’auto, scarpe senza tacco, un rugginoso schedario, preservativi, colmano la piscina vuota e il giardino dove il numero delle siringhe – un tappeto bianco latte – è superiore al numero degli aghi di pino.

Un tempo, l’albergo si è chiamato « Boomerang », tre stelle « con ristorante annesso », lo Zagarella. Oggi è la « Casa dei Nigeriani ». O meglio il mercato di droghe (eroina, cocaina, kobret) organizzato da una banda di nigeriani che la vende a cielo aperto. Vivono nell’albergo senza acqua, senza luce, senza servizi igienici. E accolgono gli zombi, in astinenza penosa, alla luce delle candele. Mettono a disposizione siringa, cucchiaino e, se si vuole, ci si può anche dormire per qualche ora, se hai già pagato la tua dose. Il bagliore delle candele si vede al pianterreno e al primo piano. È impossibile avvicinarsi. Ben prima del bordo della piscina – e l’edificio è ancora lontano cinquanta passi – la voce arrochita di un uomo grida (deve essere di vedetta da un bel po’): « Fratello, fermati lì, gira le spalle e vattene, se non vuoi guai ».

L’uomo è nascosto dietro una coperta di lana che fa da tenda. Parla da uno squarcio della coperta. Agita un braccio. Indica la direzione verso cui filare subito. Un altro passo. Un altro urlo ancora più minaccioso. Un bianco che passa di lì – abita a meno di duecento metri al « Villaggio agricolo » di Castelvolturno – consiglia di darci un taglio: « Và via, sono pericolosi e ti scatenano contro i tossici: sono i loro cani da guardia. Per una bustina in premio, quelli ti aprono la testa come un melone ».

La « Casa dei Nigeriani », conosciuta da tutti lungo la Domitiana con quel via vai di vite perdute, è la più palese contraddizione del racconto « ufficiale » della strage di San Gennaro. Si dice (lo dicono le polizie): i Casalesi, e quella loro banda di cocainomani fuori di testa armati, in libertà e introvabili, « hanno voluto ribadire la loro egemonia, uccidendo i sei neri ». Hanno voluto far sapere che la festa (la loro sfarzosa festa) non è finita, anzi raddoppia: ogni pagliuzza dei commerci illegali deve sottostare alla loro fiscalità predatoria. E, con i tempi che corrono (arresti, sentenze definitive d’ergastolo, avvocati da pagare, famiglie da sostenere, pentiti da punire), non è più sufficiente tassarsi del venti per cento, bisogna tirar fuori il cinquanta. Per ogni cosa che produce euro. Per un negozio, per una fabbrica, per le puttane, per la droga, per il lavoro nero. Sarà anche vero, ma se questo doveva essere il messaggio degli assassini perché non sono venuti qui, alla « Casa dei Nigeriani », a dare la loro « lezione » agli uomini « giusti »? Perché hanno sparato e ucciso alla cieca contro sei ghanesi innocenti, tredici chilometri più in là?

* * *

Non è una novità che i Casalesi azzannino, di tanto in tanto, i neri con ferocia. Quasi ogni settimana un nero viene picchiato e ferito con qualche pistolettata « volante », da queste parti. Altra cosa, è una strage. I Casalesi, una strage, l’hanno fatta con clamore anche nel passato, nel 1990 (come racconta Gigi Di Fiore nel suo L’impero dei Casalesi, fresco di stampa per Rizzoli). Quella volta, gli assassini, armati di tre pistole calibro 9, due calibro 7.65, una P.38, due fucili a pallettoni invasero, a Pescopagano, il bar Centro e accopparono cinque uomini e ne ferirono sette. Un nigeriano, Salim Kindy, il Cinese, s’era messo per conto suo a vendere eroina. Per trovarlo si dovevano seguire i cartelli stradali dove aveva dipinto una freccia e il suo nome, il Cinese.

Salim fu il primo ad essere ucciso quel giorno nel bar di via Consortile. L’eccidio fu rivendicato con una telefonata al centralino del quotidiano Il Mattino. Con il tempo, s’è scoperto il nome dell’uomo che al telefono disse: « Siamo della camorra della Domitiana e siamo stati noi a sparare a Pescopagano. Noi non trattiamo droga e non la vogliamo ». Era una balla, come ha spiegato l’uomo quando si è « pentito ». Si chiama Augusto La Torre e ha raccontato: « Fu Sandokan (Francesco Schiavone, il capintesta dei Casalesi) a dirmi che serviva un’azione eclatante. Si doveva fare una strage e far ritrovare la droga, così i carabinieri si sarebbero decisi a mandare via i negri ».

In realtà, i Casalesi che avevano scoperto la vena d’oro dei rifiuti tossici e del calcestruzzo non volevano polizia tra i piedi e pretendevano che fossero più discreti e nascosti i traffici criminali di strada che attiravano le divise, come le mosche il miele.

Anche se fossero queste le motivazioni di oggi per fare una strage, la domanda non cambia: perché aggredire gli innocenti ghanesi e non quei nigeriani che davvero spacciano droga, come il Cinese, come l’uomo nascosto dietro la coperta all’hotel degli zombi? Il posto giusto per trovare una risposta accettabile è il chilometro 43 della Domitiana, dove c’è stato l’eccidio.

* * *

Sulla serranda della sartoria « Ob Ob exotic fashions » – é dentro e fuori il piccolo laboratorio che gli assassini hanno ucciso nella notte di San Gennaro – ci sono quattro mazzi di fiori. E più in là, in circolo o appoggiati alle auto, sono gli amici di Samuel, Awanga, Yulius, Eric, Alex, Cristopher. La rabbia non si è spenta. Si passano il foglio di giornale con la fotografia di Eric. È seduto nella sua auto. Ha il capo riverso sulla spalla sinistra e un rivolo di sangue ai lati della bocca e una larga macchia rosso scuro ai lati del collo. Gli hanno sparato l’ultimo proiettile alla testa. Era già morto, dicono.

Racconta Alì: « Tutti conoscevamo Eric. Lavorava in un’impresa edile come piastrellista. L’altro sera era venuto qui per farsi rattoppare il pantalone che aveva addosso. Nella sartoria gli hanno detto che avrebbero pensato a lui soltanto prima della chiusura, alle « nove ». È andato a sedersi in macchina. Era stanco o forse si vergognava a farsi vedere con quello strappo nei calzoni. Ora lo seppelliranno con quel pantalone lacero ».

Il ricordo di Alì riaccende, d’improvviso, la collera. È una scintilla di follia rabbiosa che prende prima uno e poi un altro, come se con un’idrofobia umana esplodesse finalmente il sovraccarico di umiliazioni, la bolla di paura in cui molti di questi giovani uomini sono costretti a vivere. Un ragazzo, in tuta bianca e solido come una quercia, corre verso la strada. Raggiunge un’auto con un bianco a bordo che guarda curioso verso la sartoria. Il ragazzo grida come un ossesso: « Va via, italiano di merda. Vattene, razzista ».

E mentre urla, come intossicato dal dolore e dal rancore, comincia a tirare calci e pugni contro l’auto. Gli altri lo trattengono a fatica mentre altri ancora urlano: « Non vogliamo bianchi qui. Andate tutti via ». E spingono e smanacciano. Intorno non ci sono più bianchi, se si esclude un ragazzo che sta sistemando il suo mazzo di fiori accanto alla macchia di sangue dinanzi alla porta chiusa della sartoria.

* * *

Kwane mi tira via, lontano. Dice: « Come è possibile che avvenga tutto questo, come è possibile che avvenga qui in Europa? L’Africa fa schifo, okay. Veniamo qui per non vivere in quello schifo. Veniamo qui soltanto perché siamo poveri. Non è una colpa. Non lo dovrebbe essere in Europa. Vogliamo soltanto sopravvivere alla miseria e, quando ci riusciamo, aiutare le nostre famiglie. Dicono oggi che i nostri poveri morti erano spacciatori di droga. È una menzogna. Una grande menzogna. Si spezzavano la schiena nei campi e nei cantieri. Chi lavorava nella sartoria lo faceva dalla mattina alla sera, senza alzare la testa dal banco. È un’offesa che brucia sentire e leggere che erano delinquenti. Lo dicono soltanto per mettere tutto a tacere. La droga lì dentro non l’hanno trovata e non l’hanno trovata addosso ai morti. E non gliel’hanno trovata perché non avevano nulla a che fare con la droga. La polizia ve lo dice per dimostrare che poi non è successo nulla: soltanto criminali italiani che uccidono criminali africani. Siamo poveri, ma non stupidi e non è giusto che finisca così ».

Kwane sembra averne abbastanza. Si allontana come per andarsene. Si ferma, come paralizzato, dopo qualche metro. Ritorna indietro e non si vergogna a farsi vedere in lacrime: « Non è giusto, siamo brava gente. Anche la nostra vita dovrebbe avere un valore. Quando uccisero quella signora a Roma, subito trovarono il rumeno assassino. Accadrà anche per noi, per i nostri amici innocenti? No, che non accadrà. Perché noi siamo negri e la nostra vita non vale quella di un italiano, nemmeno quella di un italiano assassino. Siamo noi – non i bianchi di qui, non gli italiani che accettano di vivere con quella gente armata – siamo noi a chiedere: dov’è lo Stato in questo Paese? Perché non fa il suo mestiere? Perché per avere il rinnovo di un permesso di soggiorno si deve attendere due anni? Perché nel cantiere dove lavoro non ho alcun diritto? Perché degli assassini possono andarsene in giro liberi e nessuno li cerca davvero? Perché per dormire in un tugurio devo pagare quanto, uno di voi, un appartamento vero? ».

Kwane si asciuga gli occhi con un gesto rapido. « Sono cattolico. Accanto a voi prego in chiesa. Anche lì non riesco a sentirmi un essere umano. Questa strage è soltanto razzismo – li hanno uccisi perché, per loro, per voi, un negro vale l’altro – ma quell’insulto ai nostri poveri morti di essere delinquenti è un razzismo peggiore ».

(21 settembre 2008) Tutti gli articoli di cronaca

La rivolta degli immigrati

20 sptembre 2008

Centinaia di africani in corteo protestano contro l’uccisione dei sei ragazzi assassinati giovedì sera. «Quale droga, non siamo criminali». Castelvolturno si infiamma: vetrine infrante, auto rovesciate e tensione

Ilaria Urbani

CASTELVOLTURNO (CASERTA)

Hassan urla di rabbia contro la polizia e mostra le mani ancora impastate di calce, prova del duro lavoro da muratore che gli permette di sopravvivere da qualche anno a Calstelvolturno, periferia di Caserta sul litorale domizio a pochi passi dall’hinterland partenopeo. Il ragazzo ghanese, fratello di uno dei sei migranti uccisi al km 43 della Statale Domiziana l’altra sera, cerca di spiegare tra dialetto twi, inglese e qualche parola di italiano che anche suo fratello detto Baba, 25 anni, lavorava come sarto fino a notte tarda cucendo abiti nel suo negozio Ob Ob Exotic Fashion. «Non si tratta di omicidio per business di droga – grida Hassan agli agenti di polizia – è facile pensarlo perché viviamo qui, in questo posto di « m… ». Ma mio fratello e gli altri erano puliti, operai che come me si massacravano ogni giorno per 25 euro. E alla camorra non facciamo comodo». Gli fanno eco i ragazzi scesi con lui in strada a protestare per non essere accomunati agli spacciatori solo a causa del colore della pelle. «Ora siamo stufi, we’are ready to die , siamo pronti alla morte – dicono provocatoriamente – dateci una pistola anche a noi, se qui funziona così. Adesso abbiamo paura e siamo davvero arrabbiati, questo è solo razzismo». Il giorno dopo l’agguato nel quale sono rimasti uccisi i sei immigrati africani tre del Ghana, due del Togo e uno della Liberia, freddati da oltre 130 colpi di kalashnikov e pistole calibro 9 x 21 (un altro è ancora ricoverato all’ospedale Cardarelli gravemente ferito), scoppia la guerriglia su litorale domizio. Erano da poco trascorse le 21 di giovedì quando i killer travestiti da carabinieri, hanno fatto fuoco. Con sé avevano anche la luce lampeggiante sulle automobili. Hanno sparato all’impazzata e sono fuggiti. Far-west contro dei ragazzi che credevano di aver scampato le violenze delle guerre etniche africane e hanno trovato la morte su un marciapiede dell’ hinterland casertano. Solo pochi minuti dopo l’attacco dei sicari alla comunità africana, un’altra vittima, questa volta italiana, Antonio Celiendo gestore di una sala giochi a Baia Verde, area balneare poco distante da lì. Stesse modalità, stesse armi e oltre 60 colpi esplosi contro di lui. E Castelvolturno, ghetto africano tra i più popolosi della Campania, ieri ha iniziato ad assumere il volto di una delle banlieue parigine infiammate nel 2005 dalla rivolta dei sans papier. Ma con un aspetto più stanco, più degradato con lo sfondo di scempi edilizi e stabili abbandonati. E tutto intorno centinaia di ragazze nigeriane sulle strade pronte a prostituirsi tra decine di gruppi di tossici alla ricerca della dose quotidiana. Un intero stabile disabitato, l’ex hotel Boomerang, da anni è completamente gestito da tossicodipendenti. Un fantasma che si erge nella capitale della mozzarella, nonluogo intriso del persistente lezzo degli allevamenti di bufale. Il corteo dei migranti ieri con in testa il cartello « Black are suffering Italy » ha voluto omaggiare la memoria dei sei amici trucidati occupando per quasi tre ore la strada antistante i negozi, teatro dell’agguato. Auto rovesciate, mazze e cassonetti per ostruire la strada. I duecento migranti si sono diretti poi verso il Comune di Castelvolturno per incontrare il sindaco bloccando per tutto il pomeriggio la statale Domiziana, e colpendo qualsiasi cosa si trovassero di fronte. Sotto una pioggia battente e al grido «Go away», vetrine di negozi distrutte, oggetti lanciati in strada e automobilisti aggrediti. Il movente della strage che sarà ricordata come la mattanza di San Gennaro sembra essere stato lo stesso dell’omicidio di Baia Verde. Gli inquirenti non escludono nessuna pista, ma per ora la più accreditata è quella di un possibile regolamento per non essersi piegati al racket o per non aver rispettato i patti sul traffico di stupefacenti. La ferocia con cui il commando si è scagliato contro il gruppo di immigrati farebbe pensare che ad agire sarebbe stato il braccio armato dei Casalesi che negli ultimi due mesi ha mostrato i muscoli uccidendo imprenditori locali, due albanesi e il 18 agosto si è scagliato contro una villa abitata da nigeriani. In quel caso furono 5 i feriti, parenti di Teddy Egonwman, presidente dell’associazione dei nigeriani campani, impegnato contro lo sfruttamento della prostituzione. «La pista seguita dalla polizia non mi sembra quella giusta – spiega il fratello di un’altra vittima – questi ragazzi non erano legati al traffico della droga, si sono solo rifiutati di pagare il « pizzo ». Chi ha visto, parli e collabori con la polizia». Lo sdegno dei migranti è enorme, a dargli sostegno decine di connazionali accorsi da altri comuni partenopei e casertani. «È incredibile, solo qualche giorno fa 4 persone mi hanno fermato dicendo di essere poliziotti in borghese – racconta Abdul, campione di kick boxing in Ghana, costretto a fare il muratore a Napoli – mi hanno chiesto i documenti, ma in realtà erano solo quattro uomini che volevano abbordarmi, siamo esposti a tutto qui. Siamo trattati come animali». E mentre il prefetto di Caserta Ezio Monaco non esclude l’utilizzo dell’esercito, e il capo della polizia Manganelli invierà sul posto un pool di investigatori, arriva la denuncia di una delle poche realtà che sul territorio aiuta i migranti: l’associazione Jerry Maslow dedicata ad uno dei primi migranti uccisi nella zona, a Villa Literno nell’89. «Una delle vittime solo giovedì mattina era venuta al centro per entrare in un programma di avviamento al lavoro – racconta Renato Natale – mi sembra che stesse accennando a problemi di racket. Ma non mi stupisce, le vittime sono tante da anni. Sono problemi molto conosciuti. Sono arrabbiato e addolorato. Mi chiedo come mai se conosciamo i problemi così bene, non agiamo. Ci siamo stufati delle passerelle dei politici, ora abbiamo bisogno di fatti».

Mafia killing of immigrants sparks riots near Naples

September 20, 2008

Protesters said the six victims were not linked to drugs

Richard Owen in Rome

Race riots exploded in the southern Italian town of Castelvolturno near Naples yesterday after six African immigrants were shot dead at a tailor’s shop in an attack by gangsters from the the Naples Mafia.

Police said that the violence was related to a drugs turf war among the Camorra, the Naples Mafia, in which African immigrants appeared to be involved. But the rioters, who smashed windows and turned over cars, accused the police and mafiosi of racism for assuming that immigrants were drugs dealers. At least six gunmen fired Kalashnikovs and small arms during the attack.

Young men with crowbars forced motorists out of their vehicles while African women screamed. « We want justice. It’s not true that our murdered friends sold drugs or were mobsters, » one protester said. The six dead, all in their late twenties, were from Ghana, Togo and Liberia.

Sando De Franciscis, head of the Caserta region, said: « The arrogance of the Camorra has reached intolerable levels. » Cardinal Crescenzio Sepe, the Archbishop of Naples, said: « As long as these killers are not defeated we will always have cemeteries filled by hate and violence. » Police said that 130 bullets had been fired from a car and several motor scooters. Mafiosi gunmen also mowed down the owner of a games arcade in Castelvolturno, firing 60 bullets into his head and abdomen 20 minutes before the attack on the Africans.

Investigators said both incidents were related to a feud over drugs.

Police said that the violence sprang from a crackdown by the Casalesi clan, a Camorra faction linked to the drugs trade, on dealers who had moved into the clan’s territory « without authorisation ».

Castelvolturno, stranieri in rivolta dopo omicidi ieri

venerdì, 19 settembre 200

NAPOLI (Reuters) – Una concitata manifestazione di protesta è esplosa oggi per le strade di Castelvolturno, nel Casertano, dove circa trecento extracomunitari si sono riversati per le strade per protestare contro l’uccisione di sei stranieri avvenuta ieri in un agguato.

Lo ha riferito la questura di Caserta, spiegando che i manifestanti hanno lanciato oggetti, tra cui sassi, contro i passanti, in quella che è apparsa come una vera a propria guerriglia urbana fortunatamente rimasta senza vittime né feriti.

Al momento la situazione è un po’ più calma — ha spiegato la polizia — e il sindaco sta ricevendo una delegazione di manifestanti, mentre gli altri attendono l’esito della riunione.

A scatenare le proteste, la sparatoria avvenuta ieri sera nei pressi di una sartoria di proprietà di extracomunitari, che ha causato la morte di sei immigrati — quattro ghanesi, un togolese e due liberiani.

Secondo gli investigatori, si trattava di spacciatori che vendevano droga sul territorio senza il « permesso » della camorra, che gestisce la piazza. L’ipotesi ha però contribuito a rinfocolare la rabbia della comunità di stranieri — molto numerosa a Castevolturno — che non vogliono passare per delinquenti.

La polizia ha spiegato che la manifestazione, nata in modo pacifico stamattina, è degenerata nel pomeriggio quando un gruppo di una cinquantina di persone si è unita ai manifestanti creando disordini con azioni violente, che hanno richiesto azioni di contenimento delle forze dell’ordine

In un altro agguato, sempre ieri nei pressi di Castelvolturno, sul litorale tra Caserta e Napoli, quattro o cinque persone sono entrate in una sala giochi e hanno esploso colpi di kalashnikov contro il proprietario Antonio Celiento, che è morto dopo l’arrivo in ospedale. Celiento risulta essere fratello di una persona che secondo gli inquirenti sarebbe legata al clan Schiavone dei Casalesi.

Raid dei Casalesi, a Castel Volturno scoppia la guerriglia

L’unità.it

Eduardo Di Blasi

Alle 5 del pomeriggio la via Domitiana, nel tratto tra Castel Volturno e Lago Patria è un cimitero di cartelli stradali e bidoni della spazzatura. Un uomo di colore di due metri, in pantaloni della tuta e canottiera sotto la pioggia, si accanisce contro un segnale di «stop». Lo sbatte contro l’asfalto, urla. È la coda di un corteo partito quasi due ore prima e degenerato immediatamente. Un corteo di protesta per l’uccisione di sei ragazzi africani, avvenuta nella notte del giorno precedente davanti alla sartoria «Ob. Exotic Fashions», poche centinaia di metri piu giù, al chilometro 43 di questa statale vicina a un mare che non si vede mai, coperto da pini, alberghi e case abusive.

È stato un agguato di camorra: quasi centotrenta colpi sparati. Pistole e kalashnikov. Una strage che, chi è arrivato davanti alla lavanderia alle undici di questa mattina, non si spiega con la sola ricostruzione fatta dagli inquirenti. Una ricostruzione che parla di uno spaccio «in proprio» punito dalla camorra. «I nostri amici non erano camorristi e non spacciavano!», dicono a voce alta quei pochi manifestanti che parlano un minimo di italiano. Siamo davanti al presidio che, alle undici di mattina, ha già assunto la forma di un blocco stradale con le auto rovesciate e messe di traverso lungo la carreggiata.

Alle tre del pomeriggio in un corteo che ormai conta duecento persone rispetto alle pacifiche 40 iniziali, lo scontro è solo tra chi vuole radicalizzare la violenza e chi preferirebbe fermarsi alla dimostrazione, alla semplice richiesta di una «protezione» da parte dello Stato. Una richiesta di indagini celeri, con il rimpatrio delle salme nei Paesi d’origine e un sostegno per le mogli e per i bambini rimasti orfani. Queste le richieste che la delegazione porterà poi all’incontro con il sindaco di Castel Volturno Francesco Nuzzo e il Questore di Caserta Carmelo Casabona.

Intorno alle 15,30, quando la rabbia per il torto subito è già diventata violenza condivisa da un nutrito gruppo di partecipanti al corteo, inizia la devastazione sistematica della strada. Armati di mazze di ferro, ombrelli e pietre, un centinaio di uomini si muovono lungo la Domitiana, sfasciando insegne e vetrine e seminando il panico. La polizia segue a distanza senza intervenire. La guerriglia dà alle fiamme bidoni della spazzatura, copertoni d’auto e materassi, tutta roba trovata per strada. È una furia indistinta che per due ore e mezza tiene con il fiato sospeso gli abitanti della zona e rinfocola odi di razzismo in una città che, dati alla mano, conta 25mila regolari censiti e altri 20mila irregolari (cifra calcolata dal Comune attraverso la produzione dei rifiuti urbani).

Una città schiacciata dal peso di un’immigrazione massiccia e dall’antistato che in questa fame di lavoro trova braccia e corpi per la propria manovalanza: prostituzione, spaccio, edilizia. Sotto l’angolo di un bar di cui non si riconosce il nome (l’insegna è in frantumi ai nostri piedi), dentro un parapioggia blu, Mario guarda verso il fumo che sale sulle strada: «Questi negri dovrebbero tornarsene a casa loro – sbotta convinto – La polizia non gli fa niente». Davanti al portico dell’alimentari dei F.lli Papa carabinieri e polizia si tengono pronti senza tensione. Una fila di una trentina di uomini in assetto antisommossa chiude un pezzo di strada, mentre dietro di loro la Domitiana è diventata una via senza uscita, una specie di circuito di guerra con cassonetti in fiamme in mezzo alla carraggiata in entrambi i sensi di marcia.

Sotto l’insegna del bar Elite, alle 18 in punto, temperatura indicata di 16 gradi centigradi, la banlieue casertana ci mostra però anche un’altra faccia. Il corteo è passato da mezzora e l’autopompa dei vigili del fuoco sta spegnendo i roghi che la pioggia scrosciante ha già in parte affievolito. Da sotto il portico del bar, una ventina di persone, pelle bianca, quarant’anni di media, e spiccato accento del luogo, si spinge sulla strada. Muniti di bottiglie di spirito e accendini danno alle fiamme una campana per la raccolta differenziata, assieme a un materasso e a un pezzo di mobilio. Mentre il camion dei vigili si allontana via in buon ordine, un ragazzo di colore che prova a scostare una parte del blocco per passare con la propria auto viene rincorso ed è costretto a fare un sorriso di circostanza come per dire «mi ero sbagliato» per non incorrere nell’ira dei vandali indigeni.

La scena ci racconta l’altra parte di questo posto, di questa «trincea dei Casalesi», come la chiama il sindaco Nuzzo, mentre racconta dei 18 morti dall’inizio dell’anno, della disoccupazione giovanile inchiodata all’80%, e di quegli autobus che attraversano i comuni di Castel Volturno e Giugliano per andare verso Napoli e i paesi vesuviani, dove da anni non si trova la faccia di un bianco. Posti dove l’uomo bianco detta la sua legge sull’uomo nero. Anche questa sera, si direbbe, la storia non è cambiata. Alle fermate di autobus che non passeranno mai, la strada è impraticabile, con o senza ombrelli, nugoli di persone di colore aspettano sotto la pioggia. Qualcuno sa quello che è successo: «Sono stati ghanesi e nigeriani», ci spiega Patrick incamminandosi verso i fuochi assieme a decine di persone tornate dai campi. Rosa, invece, che viene dal Togo e si dirige verso la Caritas non se lo spiega che non ci siano gli autobus e che i segnali stradali siano tutti per terra: «È stata polizia? Carabinieri?», domanda.

È la paura dello Stato, in qualsiasi forma esso si presenti. Sia la paura dei controlli di polizia, che per chi non ha i documenti significa la fine, sia quella della camorra che si finge Stato e pretende soldi da chi non ne ha nemmeno per sè. Ha ragione il sindaco Nuzzo quando afferma che «quello che è successo oggi a Castel Volturno riporta le lancette indietro di dieci anni sui nostri processi di integrazione». Però anche questa sera la Domitiana riprenderà i suoi ritmi, con le prostitute nigeriane a riscaldarsi dietro i bracieri e gli altri schiavi a dormine in queste case-vacanza senza riscaldamento, davanti a un mare che non si vede nemmeno.

Castelvolturno: esplode la rabbia dei migranti dopo la strage

19 Settembre 2008

La rabbia dei migranti di Castelvolturno, un comune del casertano, è esplosa già ieri notte, subito dopo la strage che ha lasciato sul terreno sei morti ed un ferito molto grave, tutti di origini africane. Le forze dell’ordine sostengono che le modalità della strage – una scarica di kalashnikov partita da auto e motorini [gli assassini, pare 6 o 7 persone, avevano giubotti con la scritta «carabinieri»] – sia riconducibile ad una matrice camorristica. I lanci di agenzia parlano di «regolamento di conti» per questioni di spaccio. Poche ore prima era stato ucciso un altro uomo – italiano – nella vicina località di Baia Verde e pare che le armi utilizzate siano state le stesse. La zona è controllata dal clan dei Casalesi e gli inquirenti stanno interrogando alcuni collaboratori di giustizia. «Questo e’ il fatto più grave di un quadro di fatti assolutamente allarmanti commessi con metodo terroristico», hanno dichiarato gli inquirenti. Le agenzie di stampa parlano di una «punizione» inflitta dai Casalesi a quanti, coinvolti nello spaccio, stavano cercando di sfuggire al controllo della cosca. Già il 18 agisto scorso alcune persone di origine nigeriana erano state vittime di un agguato con armi da fuoco. Alla base dell’aggressione, in quell’occasione, ci sarebbe stata l’attività di dissuasione che un’associazione di cui faceva parte una delle vittime portava avanti nei confronti delle prostitute nigeriane.

Ma la rivolta che è cominciata già ieri notte, la rabbia esplosa nei confronti delle forze dell’ordine arrivate sul posto dopo la strage, parla d’altro. Parla dell’insofferenza nei confronti del clima di razzismo diffuso. «Erano delle brave persone i nostri amici, non sappiamo perchè li hanno uccisi – dichiarano i manifestanti, che questa mattina hanno occupato la via Domiziana – hanno ucciso anche il sarto, extracomunitario come noi. Hanno sparato per colpire noi africani, perchè tra le vittime c’erano anche 3 dei nostri che vivevano nella palazzina dove c’e’ anche la sartoria [in cui sono state uccise alcune delle vittime ndr.]». «Vogliamo giustizia non e’ vero che i nostri amici ammazzati spacciavano droga o erano camorristi. Sono state dette tutte cose false», sostenevano i migranti che stamattina, esasperati, hanno innalzato barricate sulla strada con cassonetti e materassi, rivoltato auto e distrutto vetrine. Il gruppo dei manifestanti si è andato ingrossando nel corso della mattinata. Alcuni migranti sono stati invitati a scendere dagli autobus e ad unirsi alla protesta. La Cgil Campania è intervenuta con una nota sulla strage «Il clima di razzismo che da tempo si respira nel Casertano, nel Napoletano e nel Paese – vi si legge – fa pensare che, al di là della barbarie camorristica, possano celarsi dietro questi fatti, manifestazioni di intolleranza verso la presenza degli immigrati nel territorio nazionale».

Nel pomeriggio la protesta si è trasformata in una vera e propria guerriglia urbana. «Siete razzisti» e «italiani bastardi» sono gli slogan riportati dalle agenzie. Il sindaco di castelvolturno, Francesco Nuzzo, sta «trattando» con i manifestanti, ma pare che una parte di loro non sia disposta a scendere a patti. «Sono incontrollabili, temo qualcosa di grave», avrebbe detto Nuzzo al questore di Caserta

Émeute en Italie après une fusillade qui a fait six morts

vendredi 19 septembre 2008

Reuters

Des immigrants ont provoqué une émeute dans une petite ville du sud de l’Italie, au lendemain d’une fusillade dans laquelle six Africains ont trouvé la mort.

La fusillade s’est produite jeudi soir à Castelvolturno, ville de 20.000 habitants au nord-ouest de Naples. Au moins six assaillants ont tiré 130 balles, utilisant, semble-t-il, une kalachnikov ainsi que des armes légères, a dit la police.

Des dizaines d’immigrants ont brisé des vitres, tapé sur des véhicules et lancé des pierres contre des policiers, en réclamant justice et en accusant les forces de l’ordre de racisme pour avoir avancé que les victimes étaient des trafiquants de drogue.

La télévision italienne a montré des jeunes gens armés de barres de fer, bloquant la circulation et contraignant les automobilistes à sortir de leur voiture.

« Nous réclamons justice. Ce n’est pas vrai que nos amis assassinés vendaient de la drogue ou étaient des gangsters », a déclaré l’un des manifestants aux journalistes.

Il s’agit d’une des fusillades les plus sanglantes de l’histoire récente dans la région. Elle a semé la consternation dans une région pourtant habituée à ce genre de crimes de la part de la Camorra, la version locale de la Mafia.

Les six morts sont de nationalités ghanéenne, togolaise et libérienne, et âgés de 25 à 31 ans.

Phil Stewart, version française Eric Faye

Une manifestation d’immigrés dégénère dans le sud de l’Italie

nouvel-obs

AP | 19.09.2008

Une manifestation d’immigrés dénonçant la mort de six Africains, qui auraient été tués par la Camorra, a dégénéré vendredi près de Naples, provoquant des dégâts matériels, mais sans faire de blessés, selon des médias locaux.

D’après l’agence de presse ANSA, des manifestants armés de bouteilles cassées ont insulté des Italiens, cassé des vitres de voitures et lancé des pierres sur des fourgons de police.

La chaîne de télévision italienne Sky TV24 a diffusé des images montrant les manifestants en train de marcher sous la pluie et de bloquer le trafic.

Plusieurs centaines de personnes protestaient contre la mort de six immigrés ghanéens, togolais et libériens, tués par balles jeudi soir. D’après les autorités, ils auraient été victimes d’un règlement de compte de la part de membres de la Camorra pour le contrôle du trafic de drogue. AP

~ par Alain Bertho sur 20 septembre 2008.